sabato 27 dicembre 2014

Pensieri Positivi


sabato 29 novembre 2014

L'ELEMOSINA



L'ELEMOSINA
Un giorno di molto tempo fa, in Inghilterra, una donnetta 
infagottata in un vestito lacero percorreva le stradine di un 
villaggio, bussando alle porte delle case e chiedendo 
l'elemosina.

 Molti le rivolgevano parole offensive, altri incitavano il cane
 a farla scappare. Qualcuno le versò in grembo tozzi di 
pane ammuffito e patate marce. Solo due vecchietti fecero
 entrare in casa la povera donna.
«Siediti un po' e scaldati», disse il vecchietto, mentre la 
moglie preparava una scodella di latte caldo e una grossa
 fetta di pane.
Mentre la donna mangiava, i due vecchietti le regalarono 
qualche parola e un po' di conforto.

Il giorno dopo, in quel villaggio, si ve
rificò un evento 
straordinario. Un messo reale portò in tutte le case un 
cartoncino che invitava tutte le famiglie al castello del re.
L'invito provocò un gran trambusto nel villaggio, e nel 
pomeriggio tutte le famiglie, agghindate con gli abiti della 
festa, arrivarono al castello. Furono introdotti in una 
imponente sala da pranzo e ad ognuno fu assegnato un 
posto.
Quando tutti furono seduti, i camerieri cominciarono a 
servire le portate. Immediatamente si alzarono dei borbottii 
di disappunto e di collera.

I solerti camerieri infatti rovesciavano nei piatti bucce di 
patata, pietre, tozzi di pane ammuffito.

Solo nei piatti dei due vecchietti, seduti in un angolino, 
venivano deposti con garbo cibi raffinati e pietanze squisite.
 Improvvisamente entrò nella sala la donnetta dai vestiti 
stracciati.

Tutti ammutolirono. «Oggi disse la donna avete trovato 
esattamente ciò che mi avete offerto ieri».

Si tolse gli abiti malandati. Sotto indossava un vestito 
dorato.

Era la Regina.

sabato 8 novembre 2014

Felicità




Se è così difficile trovare la felicità, è perché la si attende. Si è in attesa di incontrare il grande amore, in attesa di trovare il successo, la fortuna, la gloria, e se questi non si presentano si è infelici. In realtà, la felicità non è qualcosa che arriva o non arriva, così, dall'esterno, ma uno stato di coscienza che dipende da una buona comprensione delle cose. Non bisogna immaginare di essere venuti sulla terra per vivere negli agi, nei piaceri e nell'abbondanza. Si è venuti sulla terra per imparare e perfezionarsi. Ebbene, come perfezionarsi se non si hanno ogni giorno nuovi problemi da risolvere, nuovi ostacoli da superare? La terra è una scuola e, come in tutte le scuole, solo quelli che imparano e progrediscono posso sentirsi felici.
Allora, non aspettate che la felicità venga dall'esterno sotto forma di incontri o condizioni favorevoli. La felicità reale, definitiva, può giungere solo da voi stessi, dal vostro modo di considerare le cose e di lavorare. Con un buon ragionamento e una buona filosofia, potete rendervi padroni della vostra felicità. E soprattutto non aspettatela senza fare nulla. Sta a voi agire e applicare i metodi che vi permetteranno di trasformare i dispiaceri in gioie e i fallimenti in successi".
Omraam Mikhaël Aïvanhov

sabato 6 settembre 2014

Trovare la via




Finirai per trovarla la via, se prima avrai il coraggio di perderti                                                                                                                                                        


martedì 17 giugno 2014

Osho

Non sfuggire la sofferenza.

 Hai bisogno di una sofferenza reale.
È come un fuoco: ti brucerà.

 Tutto ciò che è falso arderà e tutto ciò che è reale rimarrà.

 (Osho)


sabato 7 giugno 2014

Tazzina di Caffè



La storia del professore e della tazzina di caffè.

Un gruppo di ex studenti universitari andarono a trovare il loro vecchio Professore di Economia. Molti di loro avevano trovato delle ottime posizioni in Banche d’Affari, Società di Consulenza ed importanti Multinazionali. Ben presto il Professore ed i suoi ex studenti si ritrovarono a parlare della vita, della felicità, del lavoro e dello stress.
Nel pieno della discussione, il vecchio Professore, sempre attento alle buone maniere, volle offrire loro del caffè e andò in cucina. Nel giro di pochi minuti un’inconfondibile fragranza di caffè si diffuse per l’intero appartamento ed il Docente tornò con un vassoio pieno di tazze, ognuna diversa dalle altre: alcune di porcellana, altre di vetro, altre di cristallo, alcune di aspetto molto semplice, altre all’apparenza molto costose.
Il Professore aspettò con pazienza che ognuno dei suoi ex studenti scegliesse la sua tazza preferita. Quando ciascuno ebbe la sua tazza di caffè in mano, il Professore disse: “Come avrete notato, tutte le tazze che sembravano belle e costose sono state prese per prime, lasciando per ultime le tazze semplici. E’ normale che ciascuno di voi cerchi di ottenere le cose migliori. Ma questa è anche la fonte del vostro stress. Ricordate? Quello che volevate davvero era il caffè, non le tazze: ma ognuno di voi si è affrettato a prendere le tazze migliori guardando di sottecchi cosa avesse scelto il compagno al suo fianco.“
Certo di aver ottenuto l’attenzione dei suoi ex studenti, il vecchio Professore concluse il suo discorso: “Cari ragazzi, la vita è il caffè e la felicità è il suo aroma; il lavoro, lo status sociale, ed i vari gingilli di cui ci piace circondarci, non sono altro che tazze. Sono solo oggetti che contengono il caffè ed il suo aroma. Nulla di più. Non permettete mai alle vostre “tazze” di decidere per voi: imparate a godervi il caffè!”







sabato 24 maggio 2014

Chi prende e chi dà

Ci sono due tipi di persone nel mondo:coloro che danno e quelli che prendono. Chi prende mangia meglio, ma chi dà dorme meglio.

 

sabato 10 maggio 2014

Presentimento


Foto: Ad un certo punto di maturità, si è attirati all'improvviso da una fragranza. L'affannarsi in ogni direzione, la dispersione, hanno fine; si è orientati, l'intera prospettiva muta, offre il gusto, il presentimento di qualcosa molto vicino, genera un'urgenza.
Quando il presentimento appare, dategli tutto il vostro cuore, siate attenti, vigilanti, perchè la tendenza a dimenticare, e che sostiene i vostri condizionamenti, e' fortissima.
(Jean Klein)


Ad un certo punto di maturità, si è attirati all'improvviso da una fragranza. L'affannarsi in ogni direzione, la dispersione, hanno fine; si è orientati, l'intera prospettiva muta, offre il gusto, il presentimento di qualcosa molto vicino, genera un'urgenza.
Quando il presentimento appare, dategli tutto il vostro cuore, siate attenti, vigilanti, perchè la tendenza a dimenticare, e che sostiene i vostri condizionamenti, e' fortissima.
(Jean Klein)

sabato 26 aprile 2014

C'era una volta




C’era una volta una gara di ranocchi. 
L’ obiettivo era arrivare in cima a una grande torre. Si radunò molta gente per vedere e fare il tifo per loro. Cominciò la gara. In realtà la gente, probabilmente, non credeva possibile che i ranocchi raggiungessero la cima, e tutto quello che si ascoltava erano frasi tipo: “che pena!!!… non ce la faranno mai!!! “. I ranocchi cominciarono a desistere, tranne uno che continuava a cercare di raggiungere la cima.. e la gente continuava “… che pena!!! … non ce la faranno mai!! ..” e i ranocchi cominciarono a darsi per vinti, tranne il solito ranocchio testardo che continuava ad insistere…. alla fine, tutti desistettero tranne quel ranocchio che, solo e con grande sforzo, giunse alla fine della cima. Gli altri, ranocchi, volevano sapere come avesse fatto…. e quando si avvicinarono per chiedergli come fosse riuscito a concludere la prova…. scoprirono che era sordo!!! Non ascoltare le persone con la pessima abitudine di essere negative.… Derubano le migliori speranze del tuo cuore!!! Ricorda sempre il potere che hanno le parole che ascolti o leggi…. per cui, preoccupati di essere sempre positivo!!!

Riassumendo: sii sempre sordo quando qualcuno ti dice che non puoi realizzare i tuoi sogni!!!

domenica 13 aprile 2014

La Farfalla






La storia della farfalla.

Un giorno un contadino, riposandosi sotto un’ombra al termine di una giornata sfiancante, si accorse di un bozzolo di una farfalla. Il bozzolo era completamente chiuso ad eccezione di un piccolo buchino sulla parte anteriore. Incuriosito, il contadino osservò attraverso il piccolo buchino, riuscendo ad intravedere la piccola farfalla che si dimenava con tutte le sue forze. Il contadino osservò a lungo gli sforzi eroici dell’elegante bestiolina, ma per quanto la farfalla si sforzasse per uscire dal bozzolo, i progressi apparivano minimi. Così, il contadino, impietosito dall’impegno della piccola farfalla, tirò fuori un coltellino da lavoro e delicatamente allargò il buco del bozzolo, finché la farfalla poté uscirne senza alcuno sforzo. A questo punto accadde qualcosa di strano. La piccola farfalla, aiutata ad uscire dal bozzolo, non aveva sviluppato muscoli abbastanza forti per potersi librare in aria. Nonostante i ripetuti tentativi, la fragile farfalla rimase a terra e riuscì a trascinarsi solo a pochi centimetri dal bozzolo, incapace di fare ciò per cui la natura l’aveva fatta nascere. Il contadino si accorse del grave errore fatto ed imparò una lezione che non dimenticò per il resto della sua vita:
“Attraverso le difficoltà la natura ci rende più forti e degni di realizzare i nostri sogni.”

sabato 5 aprile 2014

Perdonare




                            Perdonare è liberare un prigioniero e scoprire                                                                                 che quel prigioniero eri tu




lL DISCEPOLO E IL SACCO DI PATATE 

Un giorno il saggio diede al discepolo un sacco vuoto e un cesto di patate e disse: 
"Pensa a tutte le persone che hanno fatto o detto qualcosa contro di te recentemente, specialmente quelle che non riesci a perdonare. Per ciascuna, scrivi il nome su una patata e mettila nel sacco."
Il discepolo pensò ad alcune persone e rapidamente il suo sacco si riempì di patate , continuò il saggio :
"Porta con te il sacco, dovunque vai, per una settimana, poi ne parleremo."
Inizialmente il discepolo non pensò alla cosa. Portare il sacco non era particolarmente gravoso. Ma dopo un po', divenne sempre più un gravoso fardello. Sembrava che fosse sempre più faticoso portarlo, anche se il suo peso rimaneva invariato. 
Dopo qualche giorno, il sacco cominciò a puzzare. Le patate marce emettevano un odore acre. Non era solo faticoso portarlo, era anche sgradevole. 
Finalmente la settimana terminò. Il saggio domandò al discepolo: 
" Nessuna riflessione sulla cosa ? "
rispose il discepolo :
" Sì Maestro , quando siamo incapaci di perdonare gli altri, portiamo sempre con noi emozioni negative, proprio come queste patate. Questa negatività diventa un fardello per noi, e dopo un po', peggiora." 
disse il maestro :
" Sì, questo è esattamente quello che accade quando si coltiva il rancore. Allora, come possiamo alleviare questo fardello ?"
disse il discepolo : 
" Dobbiamo sforzarci di perdonare "
continuò il saggio :
" Perdonare qualcuno equivale a togliere una patata dal sacco. Quante persone per cui provavi rancore sei capace di perdonare?"
concluse il discepolo : 
"Ci ho pensato molto, Maestro ; mi è costata molta fatica, ma ho deciso di perdonarli tutti". 

domenica 30 marzo 2014

Come il Caffè



COME IL CAFFE'.........

Una figlia si lamentava con suo padre circa la sua vita e di come le cose le risultavano tanto difficili. Non sapeva come fare per proseguire e credeva di darsi per vinta. Era stanca di lottare. Sembrava che quando risolveva un problema, ne apparisse un altro. Suo padre, uno chef di cucina, la portò al suo posto di lavoro. Lì riempì tre pentole con acqua e le pose sul fuoco.
Quando l'acqua delle tre pentole stava bollendo, in una collocò carote, in un'altra collocò uova e nell'ultima collocò grani di caffè. Lasciò bollire l'acqua senza dire parola. La figlia aspettò impazientemente, domandandosi cosa stesse facendo il padre. Dopo venti minuti il padre spense il fuoco. Tirò fuori le carote e le collocò in una scodella. Tirò fuori le uova e le collocò in un altro piatto. Finalmente, colò il caffè e lo mise in un terzo recipiente. Guardando sua figlia le disse....cara figlia mia, carote, uova o caffè ? Fu la sua domanda. La fece avvicinare e le chiese che toccasse le carote, ella lo fece e notò che erano soffici, dopo le chiese di prendere un uovo e di romperlo, mentre lo tirava fuori dal guscio, osservò l'uovo sodo. Dopo le chiese che provasse il caffè, ella sorrise mentre godeva del suo ricco aroma. Umilmente la figlia domandò....cosa significa questo, padre ? Egli le spiegò che i tre elementi avevano affrontato la stessa avversità,.....l'acqua bollente, ma avevano reagito in maniera differente. La carota arrivò all'acqua forte, dura, superba....ma dopo avere passato per l'acqua, bollendo era diventata debole, facile da disfare. L'uovo era arrivato all'acqua fragile, il suo guscio fine proteggeva il suo interno molle, ma dopo essere stato in acqua, bollendo, il suo interno si era indurito. Invece, i grani di caffè, erano unici....dopo essere stati in acqua, bollendo, avevano cambiato l'acqua. Quale sei tu figlia ? Le disse.
Quando l'avversità suona alla tua porta....come rispondi ? Sei una carota che sembra forte ma quando l'avversità ed il dolore ti toccano, diventi debole e perdi la tua forza ? Sei un uovo che comincia con un cuore malleabile e buono di spirito, ma che dopo una morte, una separazione, un licenziamento, una pietra durante il tragitto diventa duro e rigido ?
Esternamente ti vedi uguale, ma sei amareggiata ed aspra, con uno spirito ed un cuore indurito ? O sei come un grano di caffè ? Il caffè cambia l'acqua, l'elemento che gli causa dolore. Quando l'acqua arriva al punto di ebollizione il caffè raggiunge il suo migliore sapore. Se sei come il grano di caffè, quando le cose si mettono peggio, tu reagisci in forma positiva, senza lasciarti vincere, e fai si che le cose che ti succedono migliorino, che esista sempre una luce che illumina la tua strada davanti all'avversità e quella della gente che ti circonda.
Per questo motivo non mancare mai di diffondere con la tua forza e positività il.....dolce aroma del caffè !!!

lunedì 24 marzo 2014

Io ci credo!

La storia del dott. Mitchell.
Il dott. Mitchell, noto neurologo di Philadelphia, era andato a letto dopo una giornata eccezionalmente faticosa. All’improvviso fu svegliato da qualcuno che bussava alla porta. Andò ad aprire e si trovò davanti una bambina vestita poveramente e profondamente sconvolta. La bimba gli disse che la sua mamma era molto malata e gli chiese il favore di andare con lei a visitarla. Era una notte gelida, nevosa, ma benché stanchissimo il dottore si vestì e seguì la piccola.
Giunto a destinazione, trovò la madre della bambina a casa, sola, affetta da una grave polmonite. Le prestò le prime cure, poi telefonò all’ospedale per organizzare un ricovero per il giorno dopo; prima di congedarsi fece i complimenti all’ammalata per l’intelligenza e la bravura della sua bambina. La donna lo guardò in maniera strana e poi disse tristemente: "Mia figlia è morta un mese fa…". Aggiunse poi che il suo cappotto e le sue scarpine erano ancora nell’armadio dei vestiti, lì accanto.
Stupefatto, il dottor Mitchell aprì lo sportello dell’armadio: lì appeso trovò il soprabito che aveva visto addosso alla bambina che l’aveva svegliato perché accorresse al capezzale della mamma ammalata. Il soprabito era caldo e asciutto, e non era pensabile che fosse stato indossato in questa notte, fredda e bagnata".
La storia    del dott. Mitchel                                                                                                                                                                                                                        
Il dott. Mitchell, noto neurologo di Philadelphia, era andato a letto dopo una giornata eccezionalmente faticosa. All’improvviso fu svegliato da qualcuno che bussava alla porta. Andò ad aprire e si trovò davanti una bambina vestita poveramente e profondamente sconvolta. La bimba gli disse che la sua mamma era molto malata e gli chiese il favore di andare con lei a visitarla. Era una notte gelida, nevosa, ma benché stanchissimo il dottore si vestì e seguì la piccola.
Giunto a destinazione, trovò la madre della bambina a casa, sola, affetta da una grave polmonite. Le prestò le prime cure, poi telefonò all’ospedale per organizzare un ricovero per il giorno dopo; prima di congedarsi fece i complimenti all’ammalata per l’intelligenza e la bravura della sua bambina. La donna lo guardò in maniera strana e poi disse tristemente: "Mia figlia è morta un mese fa…". Aggiunse poi che il suo cappotto e le sue scarpine erano ancora nell’armadio dei vestiti, lì accanto.
Stupefatto, il dottor Mitchell aprì lo sportello dell’armadio: lì appeso trovò il soprabito che aveva visto addosso alla bambina che l’aveva svegliato perché accorresse al capezzale della mamma ammalata. Il soprabito era caldo e asciutto, e non era pensabile che fosse stato indossato in questa notte, fredda e bagnata".

venerdì 7 marzo 2014

Il Vaso Rotto


Il vaso rotto...
Un'anziana donna aveva due grandi vasi, ciascuno sospeso all'estremità di un palo che lei portava sulle spalle.
Uno dei vasi aveva una crepa, mentre l'altro era perfetto, ed era sempre pieno d'acqua alla fine della lunga camminata dal ruscello a casa, mentre quello crepato arrivava mezzo vuoto.
Per due anni interi andò avanti così, con la donna che portava a casa solo un vaso e mezzo d'acqua.
Naturalmente, il vaso perfetto era orgoglioso dei propri risultati.
Ma il povero vaso crepato si vergognava del proprio difetto, ed era avvilito di saper fare solo la metà di ciò per cui era stato fatto.
Dopo due anni che si rendeva conto del proprio amaro fallimento, un giorno parlò alla donna lungo il cammino: "Mi vergogno di me stesso, perché questa crepa nel mio fianco fa sì che l'acqua fuoriesca lungo tutta la strada verso la vostra casa".
La vecchia sorrise: "Ti sei accorto che ci sono dei fiori dalla tua parte del sentiero, ma non dalla parte dell'altro vaso? È perché io ho sempre saputo del tuo difetto, perciò ho piantato semi di fiori dal tuo lato del sentiero ed ogni giorno, mentre tornavamo, tu li innaffiavi.
Per due anni ho potuto raccogliere quei bei fiori per decorare la tavola.
Se tu non fossi stato come sei, non avrei avuto quelle bellezze per ingentilire la casa".


Ognuno di noi ha il proprio specifico difetto.
Ma sono la crepa e il difetto che ognuno ha a far sì
che la nostra convivenza sia interessante e gratificante.
Bisogna prendere ciascuno per quello che è
e vedere ciò che c'è di buono in lui.
 



venerdì 21 febbraio 2014

Cuore




"Tutte le volte che incontri un vecchio cadente, un povero, una donna con un bimbo in braccio, uno storpio con le stampelle, un uomo curvo sotto un carico, una famiglia vestita a lutto, cedi loro il passo con rispetto: noi dobbiamo rispettare la vecchiaia, la miseria, l’ amor materno, l’ infermità, la fatica, la morte.”
Cuore, Edmondo De Amicis, 1889
Oggi il testo può sembrare anacronistico e addirittura disturbare per l'uso di termini che ci sembrano dispregiativi.
Oggi lo storpio è diversamente abile, il povero è meno abbiente, la vecchiaia è terza età etc.
Parole "politicamente corrette" per lavarci la coscienza, parole che hanno imparato tutti.
Ma il vero senso del testo...di cedere il passo con rispetto a chi è in difficoltà... dopo quasi 130 anni,non l'ha imparato nessuno.

venerdì 31 gennaio 2014

Invito




C'era una volta un uomo che venne invitato a casa da un amico, e quando fu sul punto di bere del vino che gli era stato offerto, gli sembrò di vedere un serpentello nella tazza. Poiché non voleva mettere in imbarazzo l'anfitrione attirando l'attenzione sulla faccenda, inghiottì coraggiosamente. Al ritorno a casa avvertì forti dolori allo stomaco; gli somministrarono diverse cure ma tutto fu inutile, e l'uomo, a quel punto gravemente ammalato, si sentiva prossimo alla morte. L'amico, informato sulle sue condizioni, lo invitò ancora una volta e, dopo averlo fatto accomodare nello stesso posto, gli offrì un'altra tazza di vino, dicendogli che era una medicina.
Quando l'afflitto sollevò la tazza per bere vide ancora che conteneva un serpentello, e questa volta richiamò l'attenzione del padrone di casa. Senza una parola, l'anfitrione indicò il soffitto sopra il posto dell'ospite, dov'era appeso un arco. All'improvviso il malato si rese conto che il "serpentello" era il riflesso dell'arco appeso; i due si guardarono e scoppiarono in una risata. La sofferenza del malato svanì ed egli recuperò la salute all'istante.
(Bassui Tokusho)


martedì 28 gennaio 2014

Estensione del Dolore



Non appena tocchi il dolore dall'interno, accadono due cose. La prima è che esso non conserva più l'estensione che sembrava avere; si condensa immediatamente in un piccolo punto. E più intensamente ti concentri su questo punto, più ti accorgerai che si restringe. Alla fine accade una cosa incredibile: quando il punto diventa piccolissimo, scoprirai con tua sorpresa che appare e scompare, va e viene. Cominciano ad apparire degli intervalli. E in ultimo, quando scompare del tutto, ti chiedi che cosa ne è stato. Molte volte lo smarrisci: diventa così infinitesimale, che, spesso, quando la consapevolezza tenta di localizzarlo, non lo trovi.
Proprio come il dolore si espande nell'inconsapevolezza, si restringe nella consapevolezza, diventando piccolo. In questo stato di consapevolezza avrai la sensazione che, sebbene tu sia passato attraverso molte esperienze dolorose, anche se hai vissuto tante sofferenze, in realtà i momenti tristi non sono davvero tanti. I dolori che pensiamo di aver sofferto sono esagerati.
La seconda cosa che accadrà è questa: quando osservi da molto vicino, tra te e l'infelicità si creerà una distanza; in realtà, ogni volta che osservi una cosa, si crea immediatamente una distanza. L'osservare provoca la distanza; non importa che cosa stiamo guardando, una distanza comincia immediatamente a prendere forma.

da: "Aprirsi alla vita" di OSHO 

lunedì 20 gennaio 2014

Papa Francesco








LA BICICLETTA DI DIO 

In una calda sera di fine estate, un giovane si recò da un vecchio saggio e gli chiese :
" Maestro, come posso essere sicuro che sto spendendo bene la mia vita ? Come posso essere sicuro che tutto ciò che faccio è quello che Dio mi chiede di fare ? "

Il vecchio saggio sorrise compiaciuto e disse:
" Una notte mi addormentai con il cuore turbato, anch'io cercavo, inutilmente, una risposta a queste domande. Poi feci un sogno. Sognai una bicicletta a due posti. Vidi che la mia vita era come una corsa con una bicicletta a due posti: un tandem. E notai che Dio stava dietro e mi aiutava a pedalare. Ma poi avvenne che Dio mi suggerì di scambiarci i posti. Acconsentii e da quel momento la mia vita non fu più la stessa. Dio rendeva la mia vita più felice ed emozionante. Che cosa era successo da quando ci scambiammo i posti? Capii che quando guidavo io, conoscevo la strada. Era piuttosto noiosa e prevedibile. Era sempre la distanza più breve tra due punti. Ma quando cominciò a guidare lui, conosceva bellissime scorciatoie, su per le montagne, attraverso luoghi rocciosi a gran velocità a rotta di collo. Tutto quello che riuscivo a fare era tenermi in sella! Anche se sembrava una pazzia, lui continuava a dire:
«Pedala, pedala!».

Ogni tanto mi preoccupavo, diventavo ansioso e chiedevo:
«Signore, ma dove mi stai portando?».

Egli si limitava a sorridere e non rispondeva. Tuttavia, non so come, cominciai a fidarmi. Presto dimenticai la mia vita noiosa ed entrai nell'avventura, e quando dicevo:
«Signore, ho paura...»,

lui si sporgeva indietro, mi toccava la mano e subito una immensa serenità si sostituiva alla paura. Mi portò da gente con doni di cui avevo bisogno; doni di guarigione, accettazione e gioia. Mi diedero i loro doni da portare con me lungo il viaggio. Il nostro viaggio, vale a dire, di Dio e mio. E ripartimmo. Mi disse:
«Dai via i regali, sono bagagli in più, troppo peso».

Così li regalai a persone che incontrammo, e trovai che nel regalare ero io a ricevere, e il nostro fardello era comunque leggero. Dapprima non mi fidavo di lui, al comando della mia vita. Pensavo che l'avrebbe condotta al disastro. Ma lui conosceva i segreti della bicicletta, sapeva come farla inclinare per affrontare gli angoli stretti, saltare per superare luoghi pieni di rocce, volare per abbreviare passaggi paurosi. E io sto imparando a star zitto e pedalare nei luoghi più strani, e comincio a godermi il panorama e la brezza fresca sul volto con il delizioso compagno di viaggio, la mia potenza superiore. E quando sono certo di non farcela più ad andare avanti, lui si limita a sorridere e dice:
« Non ti preoccupare, guido io, tu pedala ! »"

lunedì 13 gennaio 2014

R. Nureyev

"Era l’odore della mia pelle che cambiava, era prepararsi prima della lezione, era fuggire da scuola e dopo aver lavorato nei campi con mio padre perché eravamo dieci fratelli, fare quei due chilometri a piedi per raggiungere la scuola di danza.

Non avrei mai fatto il ballerino, non potevo permettermi questo sogno, ma ero lì, con le mie scarpe consumate ai piedi, con il mio corpo che si apriva alla musica, con il respiro che mi rendeva sopra le nuvole. Era il senso che davo al mio essere, era stare lì e rendere i miei muscoli parole e poesia, era il vento tra le mie braccia, erano gli altri ragazzi come me che erano lì e forse non avrebbero fatto i ballerini, ma ci scambiavamo il sudore, i silenzi, a fatica. Per tredici anni ho studiato e lavorato, niente audizioni, niente, perché servivano le mie braccia per lavorare nei campi. Ma a me non interessava: io imparavo a danzare e danzavo perché mi era impossibile non farlo, mi era impossibile pensare di essere altrove, di non sentire la terra che si trasformava sotto le mie piante dei piedi, impossibile non perdermi nella musica, impossibile non usare i miei occhi per guardare allo specchio, per provare passi nuovi. 

Ogni giorno mi alzavo con il pensiero del momento in cui avrei messo i piedi dentro le scarpette e facevo tutto pregustando quel momento. E quando ero lì, con l’odore di canfora, legno, calzamaglie, ero un’aquila sul tetto del mondo, ero il poeta tra i poeti, ero ovunque ed ero ogni cosa. Ricordo una ballerina Elèna Vadislowa, famiglia ricca, ben curata, bellissima. Desiderava ballare quanto me, ma più tardi capii che non era così. Lei ballava per tutte le audizioni, per lo spettacolo di fine corso, per gli insegnanti che la guardavano, per rendere omaggio alla sua bellezza. Si preparò due anni per il concorso Djenko. Le aspettative erano tutte su di lei. Due anni in cui sacrificò parte della sua vita. Non vinse il concorso. Smise di ballare, per sempre. Non resse la sconfitta. Era questa la differenza tra me e lei. 

"Io danzavo perché era il mio credo, il mio bisogno, le mie parole che non dicevo, la mia fatica, la mia povertà, il mio pianto. Io ballavo perché solo lì il mio essere abbatteva i limiti della mia condizione sociale, della mia timidezza, della mia vergogna. Io ballavo ed ero con l’universo tra le mani, e mentre ero a scuola, studiavo, aravo i campi alle sei del mattino, la mia mente sopportava perché era ubriaca del mio corpo che catturava l’aria."

Ero povero, e sfilavano davanti a me ragazzi che si esibivano per concorsi, avevano abiti nuovi, facevano viaggi. Non ne soffrivo, la mia sofferenza sarebbe stata impedirmi di entrare nella sala e sentire il mio sudore uscire dai pori del viso. La mia sofferenza sarebbe stata non esserci, non essere lì, circondato da quella poesia che solo la sublimazione dell’arte può dare. Ero pittore, poeta, scultore. Il primo ballerino dello spettacolo di fine anno si fece male. Ero l’unico a sapere ogni mossa perché succhiavo, in silenzio ogni passo. Mi fecero indossare i suoi vestiti, nuovi, brillanti e mi dettero dopo tredici anni, la responsabilità di dimostrare. Nulla fu diverso in quegli attimi che danzai sul palco, ero come nella sala con i miei vestiti smessi. Ero e mi esibivo, ma era danzare che a me importava. 

Gli applausi mi raggiunsero lontani. Dietro le quinte, l’unica cosa che volevo era togliermi quella calzamaglia scomodissima, ma mi raggiunsero i complimenti di tutti e dovetti aspettare. Il mio sonno non fu diverso da quello delle altre notti. Avevo danzato e chi mi stava guardando era solo una nube lontana all’orizzonte. 

Da quel momento la mia vita cambiò, ma non la mia passione ed il mio bisogno di danzare. Continuavo ad aiutare mio padre nei campi anche se il mio nome era sulla bocca di tutti. Divenni uno degli astri più luminosi della danza.
Ora so che dovrò morire, perché questa malattia non perdona, ed il mio corpo è intrappolato su una carrozzina, il sangue non circola, perdo di peso. Ma l’unica cosa che mi accompagna è la mia danza la mia libertà di essere. Sono qui, ma io danzo con la mente, volo oltre le mie parole ed il mio dolore. Io danzo il mio essere con la ricchezza che so di avere e che mi seguirà ovunque: quella di aver dato a me stesso la possibilità di esistere al di sopra della fatica e di aver imparato che se si prova stanchezza e fatica ballando, e se ci si siede per lo sforzo, se compatiamo i nostri piedi sanguinanti, se rincorriamo solo la meta e non comprendiamo il pieno ed unico piacere di muoverci, non comprendiamo la profonda essenza della vita, dove il significato è nel suo divenire e non nell’apparire. Ogni uomo dovrebbe danzare, per tutta la vita. Non essere ballerino, ma danzare.

Chi non conoscerà mai il piacere di entrare in una sala con delle sbarre di legno e degli specchi, chi smette perché non ottiene risultati, chi ha sempre bisogno di stimoli per amare o vivere, non è entrato nella profondità della vita, ed abbandonerà ogni qualvolta la vita non gli regalerà ciò che lui desidera. È la legge dell’amore: si ama perché si sente il bisogno di farlo, non per ottenere qualcosa od essere ricambiati, altrimenti si è destinati all’infelicità. 

Io sto morendo, e ringrazio Dio per avermi dato un corpo per danzare cosicché io non sprecassi neanche un attimo del meraviglioso dono della vita…"

Rudolf  Nureyev